Effetti “speciali”: il bassorilievo

Il “bassorilievo” è’ un effetto che crea l’illusione ottica della tridimensionalità, ma viene spesso adoperato anche per ottenere dei grafismi molto particolari. E’ una delle tecniche di “effetto” realizzabili in camera oscura e le immagini più tipiche sono quelle in B/N. L’effetto si ottiene sovrapponendo due immagini perfettamente identiche, una positiva e una negativa, leggermente sfalsate l’una rispetto all’altra (se si mettessero perfettamente sovrapposte, il risultato sarebbe una stampa completamente nera).
Per ottenere buoni risultati si utilizzano solitamente pellicole lith.


Cos’è la pellicola lith? Semplicemente una pellicola bianconero ad alto contrasto con la caratteristica di non avere la “maschera” (il fondo grigio tipico delle pellicole bianconero) e di essere ortocromatica ossia di poter essere maneggiata, esposta e sviluppata senza problemi in camera oscura con la luce rossa accesa, esattamente come la carta da stampa.


Se si parte da un qualsiasi negativo (ma, attenzione, qualche prova è d’obbligo perché non tutti i soggetti vanno bene) lo si stampa dapprima delle dimensioni volute su pellicole lith di grande formato (p.es. 4×5″ -10,2×12,7 cm) ottenendo una dia (immagine positiva, quindi) in bianconero ad alto contrasto.
Una volta fatta la dia su lith, si stampa quest’ultima a contatto su un’altra lastra, ottenendo un negativo con la stessa immagine anch’essa ad alto contrasto.
A questo punto basta sovrapporre queste due pellicole (dia e negativo) e poi sfalsarle leggermente per vedere subito l’effetto bassorilievo. Non esistono regole per stabilire di quanto spostare le due immagini o in che direzione farlo ma ci si può divertire a fare delle prove dato che si possono vedere direttamente i risultati.
Stampando il “sandwich”, si potrà avere un’immagine che sembra quasi disegnata su un foglio bianco ma, variando la densità delle due immagini o il grado di contrasto, si potranno ottenere infinite varianti.
Si può ovviamente applicare la stessa procedura al colore utilizzando una pellicola invertibile ad alto contrasto.

Se si parte invece da una dia il primo passaggio non servirà dato che si dispone già del positivo necessario e basterà quindi ottenere un negativo identico; per fare ciò si potrà, utilizzandola al contrario, usare una pellicola nata per realizzare diapositive da pellicole negative come la Kodak Vericolor Slide. Si potrà sovraesporre il “sandwich” sino ad ottenere delle delicatissime sfumature, oppure sottoesporre ed aggiungere qualche filtro durante la duplicazione; una maschera di colore arancio potrà, per esempio, servire ad aggiungere effetti molto particolari.

Effetti “speciali”: solarizzazione e pseudo-solarizzazione

E’ opportuno precisare innanzitutto le definizioni:

– la “solarizzazione” propriamente detta, descritta per la prima volta da Daguerre nel 1831, è l’effetto ottenuto da un’esasperata sovra-esposizione (almeno mille volte quella corretta) della pellicola in fase di ripresa, praticamente impossibile da ottenere con le normali pellicole attuali.

– la “pseudo-solarizzazione” o “effetto Sabattier”, perché descritta per la prima volta da Armand Sabattier nel 1862, è invece l’effetto ottenuto in camera oscura tramite opportuna esposizione della pellicola o carta durante la fase di sviluppo per una reazione chimica dell’argento che si trova.  Quando oggi si parla di “solarizzazione” ci si riferisce invece normalmente a un’immagine ottenuta con ”effetto Sabattier”.

Ecco un esempio di procedimento per una stampa b/n “pseudo-solarizzata” partendo da un normale negativo: – si sceglie una carta sensibile leggermente più dura di quella che si usa normalmente; – si espone la stampa per circa due terzi del tempo normale; – si sviluppa per due terzi del tempo regolare di sviluppo (rivelatore fresco e un po’ più concentrato); – si lava la stampa per 10 sec. e poi si asciuga, tamponando con una spugna pulita; – si espone la stampa a luce bianca (15 watt) per 1 sec. circa a 1 metro; – si completa lo sviluppo ottenendo la “pseudo-solarizzazione” (senza muovere la carta mentre fra le zone di diversa densità compare una sottile linea grigia, detta linea di Mackie); – si effettua rapidamente un efficace fissaggio.
La “linea di Mackie” si forma per la maggiore concentrazione di ioni di bromuro lungo la linea che separa una zona sviluppata da una che si sta sviluppando: il bromuro ritarda lo sviluppo lungo questa separazione formando una linea più o meno chiara che manca del tutto nella vera solarizzazione
L’effetto ottenuto come sopra descritto non garantisce però la sua perfetta ripetibilità sulle stampe successive perciò, se si vuole avere la possibilità di replicare la stessa stampa in più copie identiche, bisogna creare un duplicato “pseudo-solarizzato” del negativo sviluppato normalmente e meglio se su lastra di grande formato da sviluppare in bacinella e con pellicola ortocromatica in modo da poter controllare l’effetto in luce rossa.
Utilizzando i duplicati è perciò possibile partire da qualsiasi negativo o diapositiva del proprio archivio. Si potrebbe anche  “pseudo-solarizzare” al buio una pellicola in fase di primo sviluppo, ma il rischio di non ottenere un risultato soddisfacente e quindi dover ripetere la ripresa, è alquanto elevato e quindi sconsigliato.
Si possono ottenere risultati diversi a seconda che si usino pellicole o carte fotografiche normali o ad alto contrasto, ma particolarmente importante è saper scegliere prima di tutto delle immagini adeguate e un negativo (o diapositiva) di partenza che abbia i particolari chiari e nitidi.
La “pseudo-solarizzazione” è particolarmente efficace, e oggi principalmente usata, su immagini in b/n, ma è anche molto suggestiva utilizzando le pellicole a colori con le quali si produce un effetto simile a quello di posterizzazione (con colori diversi da quelli originali e sempre molto saturi) e inoltre, utilizzando luce colorata per la nuova esposizione alla luce della pellicola sviluppata solo parzialmente, le combinazioni e gli effetti ottenibili sono veramente infiniti
L’”effetto Sabattier” fu sfruttato con successo come tecnica fotografica, per la prima volta in modo sistematico, da Man Ray, il grande protagonista dell’arte di avanguardia del primo Novecento.

Camera oscura: l’importanza del “provino a contatto”

I provini a contatto sono il risultato di una stampa di pellicola di negativi nelle loro dimensioni originali; ciò si ottiene in camera oscura mettendo direttamente “a contatto” i negativi stessi con la carta sensibile e poi esponendo il “sandwich” ad una sorgente di luce come, ad esempio, quella di un ingranditore per un tempo determinato. Si possono utilizzare all’uopo diversi metodi empirici ma la cosa più importante è che sia assicurato il massimo contatto tra i negativi (il lato emulsionato, quello opaco) e il lato emulsionato della carta. Per fare questo basterebbe una lastra di vetro da mettere sopra i negativi (magari posti in fogli porta-negativi trasparenti) per tenerli in posizione, ma il ricorso a uno stampatore a contatto della Paterson assicura maggior velocità e precisione della manovra. Dopo aver ben sviluppato un negativo, lo si suddivide in spezzoni tali che la lunghezza non superi la larghezza di un foglio 24x30cm (p.es. un 36 pose 135 verrà tagliato in 7 strisce da 6 fotogrammi)e sarà così possibile stampare “a contatto” un intero rullino su un normale foglio di carta da stampa.
provino-24x36-completo
Ovviamente l’ingranditore dovrà essere posizionato per coprire l’intera area di stampa e il fuoco fatto con un qualsiasi negativo su di essa; particolare attenzione dovrà essere posta per la giusta esposizione: naturalmente la stampa delle parti esterne dei fotogrammi dovrà risultare completamente nera, ma per avere dei buoni risultati, soprattutto in funzione della carta utilizzata, bisognerà all’inizio effettuare alcune prove a diverse esposizioni, magari utilizzando ritagli più piccoli dei fogli di carta.
La stampa del provino, sviluppo e fissaggio, avviene esattamente come per la stampa di una singola fotografia.
I provini così ottenuti permettono di avere un colpo d’occhio immediato sui fotogrammi scattati, di avere una serie di informazioni utili per la scelta della stampa finale (dettagli nelle ombre e nelle luci, il contrasto del negativo, controllare il fuoco con un lentino, studiare tagli d’inquadratura, ecc.). Inoltre su di essi si possono segnare dei commenti, barrando quei fotogrammi da non stampare o evidenziando i migliori e financo porre dei lunghi appunti sul retro.
provino-6x6-completo
Ma poi i provini così ottenuti, come le foto più belle, passeranno alla storia poiché anche essi significativi; insieme agli spezzoni di negativo riposti negli appositi fogli di porta-negativi, saranno facilmente archiviabili e altrettanto facilmente potranno essere, in futuro, rintracciati, rivisti, consultati e fatti vedere!

“Estrarre una buona fotografia da un foglio di provini è come scendere in cantina e prendere una buona bottiglia da condividere”
(Henri Cartier-Bresson)