Si è appena conclusa la breve e bella mostra “Fotografi della Luce” del Foto Club Bergamo, presso la gipsoteca dello scultore Pierantonio Volpini.
Un po’di belle fotografie analogiche in bianco e nero e a colori, che vanno da Bergamo e le sue Muraine, giusto per non dimenticarle, visto l’attuale trionfo delle Mura Venete, ai luminosissimi ghiacciai perenni presi da insolite prospettive; dalle lande solari del Marocco con bei ritratti di viaggio dal vago sapore antropologico, fino alla più originale, per taglio e scelta dei soggetti, ritrattistica in studio.
Belle fotografie scattate, curate e stampate dagli stessi autori. Autori appassionati che lavorano nell’anonimato e nella lodevole padronanza della tecnica fotografica tradizionale, dove il sapiente equilibrio del disegnare con la luce e stampare in camera oscura sono l’opera fondamentale.
Una mostra gradita a un pubblico numeroso e accorto, che ha lasciato il proprio segno di entusiastico apprezzamento sul Registro d’Onore del sodalizio.
Non una mostra per tutti, certamente perché ubicata nel piccolo laboratorio, nella mirabile via Donizetti, che per fortuna sfugge al turista forzato, incolonnato sulla Corsarola… Ahinoi, mai nome suonò ironicamente più azzeccato per i visitatori di corsa nel più bulimico “mordi e fuggi” in Città Alta..
Una manifestazione aliena al praticante delle cosiddette grandi mostre-evento, nei contenitori più risonanti della città, appannaggio di autori celebri sempre in odore di santità, sempre testimoni della cultura che conta, dove il vernissage e una visita ossequiosa diventano una liturgia condizionata.
Questa del FCB nella sua schietta artigianalità e ammirevole concretezza, riflette in pieno l’animo dell’autore e del luogo in cui si manifesta.
Infatti se non siete mai stati nel laboratorio dell’amico Pierantonio Volpini vi suggeriamo di riparare subito, perché vi perdete un luogo magico dove avete la possibilità di percepire l’arte nel suo significato primigenio: espressione dell’artista in quanto forgiatore della propria opera, lontano dalla moderna contrapposizione tra artista e artigiano, all’era dove “l’artifex” era l’ispirato, l’artefice, il maestro, ad un tempo solo. Non è un caso che nella sala espositiva che pare una grotta che richiama la caverna generatrice di divinità, dove oggi nascono le opere dalle mani e dalla mente dello scultore, abbiano fatto degna mostra le fotografie esposte, capolavori tra il bianco della luce e il nero della camera/grotta oscura. La fotografia analogica espressione artistica che nella dualità indissolubile luce e oscurità, con gli elementi che riconducono a una chimica dalle nobili origini, in quest’occasione ha ritrovato il luogo giusto e il genio per un promettente ritorno alle radici dell’arte.