Gli scatti di Peter Lindbergh, oggi 71enne, autore di vari Calendario Pirelli e del prossimo 2017, negli anni ’90 hanno segnato un cambiamento culturale, un modo nuovo di percepire la donna e la femminilità perché nei suoi scatti ha sempre voluto catturare il talento (“mi seduce più della bellezza”, ha più volte dichiarato). Una mostra a lui dedicata a Rotterdam dall’indicativo titolo: “Peter Lindbergh: A Different Vision of Fashion Photography” (10 settembre-12 febbraio 2017) racconta l’avvento di quel mondo a chi non l’ha vissuto o ne ha appena sentito parlare. Per il suo modo di rappresentare la femminilità, Peter Lindbergh è stato definito il poeta del glamour.
fonte: articolo di Gianluca Bauzano per “Sette”
Archivio mensile:settembre 2016
I famosi “provini a contatto” della Magnum
A partire dal 2013 la Magnum sta portando in un tour mondiale la storia e gli scatti dei suoi fotografi attraverso l’esposizione dei provini (contact sheets) del suo storico archivio; un’eccezionale panoramica sul lavoro dei più grandi esponenti dell’arte dello scatto (Seymour, Cartier Bresson, Arnold, Parr, Koudelka, Robert Capa, Elliott Erwitt, Eve Arnold, René Burri, Steve McCurry, Jim Goldberg, Alex Majoli, ecc.) che hanno lavorato su eventi e personaggi che hanno segnato la storia dell’ultimo secolo: Seconda Guerra Mondiale, Primavera di Praga, Conflitto nei Balcani, Guerra in Medio Oriente, Che Guevara, Malcolm X, Margaret Thatcher, M.Luther King, ecc.
La Magnum Photos, una delle più importanti agenzie fotografiche del mondo, è stata fondata a Londra nel 1947 da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e aveva lo scopo di tutelare i suoi “autori”, che rimanevano i detentori dei diritti sui loro scatti, altrimenti incassati dalle riviste per cui lavoravano.
Tra gli scatti mostrati nei vari provini si può così capire come la scelta della foto “giusta” esalti ancora di più il mito del gesto di questi fotografi-autori con la possibilità di esplorarne il genio, svelarne il trucco, carpirne le logiche perché i provini a contatto mostrano al fotografo la panoramica di un intero reportage, allo stato grezzo ma di immediata lettura, che consente di guardare in modo critico all’esito dell’operazione. La bellezza dell’esposizione risiede nella possibilità di ammirare i momenti precedenti e successivi a quello scelto dal fotografo come “decisivo” e in piccole note alcuni artisti motivano la scelta, permettendo ai visitatori di convenire o meno con loro e magari indicare un altro punto fermo nel tempo.
Essere al cospetto di un contact sheet significa entrare metaforicamente nella mente del suo autore. L’accostamento tra le prove fissate sui fogli fotografici e la scelta definitiva dell’istantanea offre allo spettatore la possibilità di scorgere il processo creativo da cui scaturisce l’opera, con le dinamiche e gli espedienti cui ricorre il singolo autore per ritrarre un’epoca, un soggetto, un contesto e offre anche la possibilità di ben comprendere i passi che hanno portato alla realizzazione di alcune delle più famose icone fotografiche di tutti i tempi: il fotografo scatta più volte, sviluppa il proprio supporto, sceglie un’istantanea fra tante, elabora l’immagine con cui vuole comunicare al mondo e alla fine “crea”, facendo nascere l’immagine che percorrerà il mondo e contribuirà a raccontare la storia.
Alcuni titoli e commenti:
– un riferimento per l’esplorazione del processo creativo.
– provini a contatto, come entrare nella mente dei fotografi.
– è un po’ come vedere il backstage di una celebre pièce teatrale, o gli appunti di un romanzo che si rivelerà cult. Dietro molte fotografie diventate celebri e ‘uniche’ ci sono le loro varianti, scartate dall’autore.
– permettono di guardare il “laboratorio” segreto di tanti grandi fotografi, di essere, a nostra volta, dei voyeur.
– il provino a contatto è la testimonianza di un artigiano che lima e perfeziona il suo manufatto. È lo sketchbook di un artista che si avvicina all’opera conclusiva. È il manoscritto di un poeta impegnato in un corpo a corpo con le parole e i loro suoni. È la prova della grandezza e dell’umanità della fotografia che lavora sull’imperfezione, sull’accettazione del rischio, dello stare in bilico tra la scelta e la casualità che così si apre ai doni inaspettati dell’imprevisto.
– se “lo scatto” è al centro della “mitologia” della fotografia e dei fotografi “autori” (gli scatti di Robert Frank con la Leica per le strade americane o quelli “casuali” di Joel Meyerowitz durante le parate cittadine), la visione dei provini sposta l’attenzione sul momento successivo. Se la fotografia è la scienza del “momento”, qui sembra che il momento cruciale sia quello posticipato, rimandato, atteso.
– sui provini si trova anche la traccia della scelta, il segno della scelta: il margine tracciato in rosso e una “X”, è quella la foto. Il gesto fotografico è descritto dunque in tre momenti: gli scatti, l’esame e la scelta, e tutti e tre sono egualmente decisivi. Ma la visibilità della foto, la sua “emersione” – dopo la sua scelta, nell’ultima fase – è l’impulso più misterioso e inquietante. E forse è il vero gesto artistico: quando il fotografo diventa spettatore di stesso e si lascia “toccare” dalla foto.
Un esempio: la Parigi del 1950 è lo sfondo di una celebre fotografia. L’Europa sta cercando faticosamente di uscire dalle miserie della seconda guerra mondiale, scoprendo nuove libertà, e la rivista Life commissiona un servizio fotografico proprio su questo tema. Robert Doisneau è incaricato di percorrere le vie di una città che sta scoprendo il primo benessere, ed ecco il risultato è ottenuto. E’ facile riconoscere in mezzo a questi provini l’immagine destinata a diventare immortale.
Cartier-Bresson, nel 1939, tagliava i suoi negativi e conservava del suo lavoro solo immagini singole e sequenze valutate buone perché sosteneva che una mostra fotografica è come un invito a cena ed è quindi buona norma non mostrare ai commensali i tegami e ancora meno il bidone della spazzatura. A distanza di tempo si capisce che serve anche guardare nella pattumiera, se c’è ancora, come del resto sanno fare i bravi detective per scoprire cose interessanti.
La magia di queste piccole anteprime, ottenute da stampa analogica è unica e ineguagliabile.
Un mito, quello di Cartier – Bresson, che sembrerebbe superato con l’avvento delle nuove tecnologie; il provino a contatto è stato sostituito da software in cui le immagini non lasciano tracce fisiche, ma mai nessuna tecnologia potrà però sostituire l’ebbrezza nella scelta dell’istante in cui “occhio, mente e cuore entrano in allineamento”.
Nei tempi del digitale, mettere al centro di una mostra i provini è un omaggio alla tecnica analogica, non certo come pura operazione nostalgica, ma per far pensare alla modalità complessa e rigorosa che sta dietro le foto ‘riuscite’ e che presuppone un occhio educato non solo al momento dello scatto ma anche nella fase delicata della scelta della foto ‘giusta’ tra molte altre.
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Camera oscura: l’importanza del “provino a contatto”
I provini a contatto sono il risultato di una stampa di pellicola di negativi nelle loro dimensioni originali; ciò si ottiene in camera oscura mettendo direttamente “a contatto” i negativi stessi con la carta sensibile e poi esponendo il “sandwich” ad una sorgente di luce come, ad esempio, quella di un ingranditore per un tempo determinato. Si possono utilizzare all’uopo diversi metodi empirici ma la cosa più importante è che sia assicurato il massimo contatto tra i negativi (il lato emulsionato, quello opaco) e il lato emulsionato della carta. Per fare questo basterebbe una lastra di vetro da mettere sopra i negativi (magari posti in fogli porta-negativi trasparenti) per tenerli in posizione, ma il ricorso a uno stampatore a contatto della Paterson assicura maggior velocità e precisione della manovra. Dopo aver ben sviluppato un negativo, lo si suddivide in spezzoni tali che la lunghezza non superi la larghezza di un foglio 24x30cm (p.es. un 36 pose 135 verrà tagliato in 7 strisce da 6 fotogrammi)e sarà così possibile stampare “a contatto” un intero rullino su un normale foglio di carta da stampa.
Ovviamente l’ingranditore dovrà essere posizionato per coprire l’intera area di stampa e il fuoco fatto con un qualsiasi negativo su di essa; particolare attenzione dovrà essere posta per la giusta esposizione: naturalmente la stampa delle parti esterne dei fotogrammi dovrà risultare completamente nera, ma per avere dei buoni risultati, soprattutto in funzione della carta utilizzata, bisognerà all’inizio effettuare alcune prove a diverse esposizioni, magari utilizzando ritagli più piccoli dei fogli di carta.
La stampa del provino, sviluppo e fissaggio, avviene esattamente come per la stampa di una singola fotografia.
I provini così ottenuti permettono di avere un colpo d’occhio immediato sui fotogrammi scattati, di avere una serie di informazioni utili per la scelta della stampa finale (dettagli nelle ombre e nelle luci, il contrasto del negativo, controllare il fuoco con un lentino, studiare tagli d’inquadratura, ecc.). Inoltre su di essi si possono segnare dei commenti, barrando quei fotogrammi da non stampare o evidenziando i migliori e financo porre dei lunghi appunti sul retro.
Ma poi i provini così ottenuti, come le foto più belle, passeranno alla storia poiché anche essi significativi; insieme agli spezzoni di negativo riposti negli appositi fogli di porta-negativi, saranno facilmente archiviabili e altrettanto facilmente potranno essere, in futuro, rintracciati, rivisti, consultati e fatti vedere!
“Estrarre una buona fotografia da un foglio di provini è come scendere in cantina e prendere una buona bottiglia da condividere”
(Henri Cartier-Bresson)
quando si dice il caso…
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David Burnett e la foto sportiva
Molti grandi fotografi si sono cimentati con eccellenti risultati anche in quella speciale branca della fotografia tesa a immortalare il gesto atletico, la dinamica, la concentrazione ovvero la velocità e la plasticità delle persone impegnate in uno sport. Così David Burnett come ricordato in un recente articolo di Chiara Mariani apparso su “Sette”.
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Camera oscura: brevi considerazioni sulla stampa
Nella pratica fotografica, la prima fase creativa riguarda la preparazione e lo scatto vero e proprio. E’ la fase che più attrae, coinvolge, appassiona fino a spingere a levatacce o a scatti senza sosta o a trascinarsi pesanti borse zeppe di macchine e accessori.
A questa segue poi la seconda fase creativa della fotografia, in camera oscura, quando, una volta impressionato e sviluppato correttamente il negativo, si passa alla stampa, che è quella spesso capace di trasformare una semplice fotografia in un’immagine speciale.
Stampare non è difficile, ma occorre un minimo impegno e un po’ di pratica.
Una volta scelta l’immagine da utilizzare (parleremo più avanti diffusamente dei “provini”), bisogna deciderne il taglio e, soprattutto, capire bene come stampare l’immagine finale, tenendo conto dell’attrezzatura disponibile.
Bisogna sapere che gli errori commessi durante l’esposizione non possono essere più corretti. Solo l’esperienza consente di valutare “a occhio” la durata dell’esposizione che una negativa richiede per effettuare la stampa. Molti sono diventati bravi stampatori “a occhio”… commettendo tanti errori e sprecando molta carta sensibile; è un metodo che riesce spontaneo a tutti, ma dà i suoi frutti soltanto dopo molto tempo.
Per procedere correttamente è invece opportuno riuscire fin dall’inizio a stabilire la corretta esposizione della carta tenendo ben presente i seguenti fattori:
1) iI rapporto d’ingrandimento
2) la gamma di contrasto della negativa
3) la sensibilità della carta
4) la potenza di luce dell’ingranditore
5) iI diaframma dell’obiettivo
Per quanto riguarda il rapporto d’ingrandimento, bisogna soprattutto tener conto che il tempo di posa aumenta proporzionalmente con esso, ossia se per un ingrandimento 13×18 è richiesta una posa di 4 sec., per il formato 18×24 l’esposizione dovrà essere circa il doppio.
Tutti gli elementi che regolano la riuscita di una buona fotografia non si imparano di colpo, ma vengono dettati gradualmente dall’esperienza.
E’ anche opportuno ricordare che le migliori fotografie sono solitamente quelle che si stampano dopo un certo periodo di permanenza al buio, perché quando si è entrati da poco in camera oscura potrebbero influire sul risultato alcuni errori di apprezzamento dovuti al fatto che l’occhio non si è ancora abituato alla luce di sicurezza e, quindi, non è in grado di giudicare bene il contrasto di una stampa.
Un importante concorso fotografico
Il Fotoclub Bergamo segnala una iniziativa veramente speciale, e particolarmente importante per il mondo analogico, organizzata a Parma.
Tutti i dettagli (modulo di iscrizione, regolamento, ecc.) su questo link